Il 2 aprile saranno trascorsi cinquant’anni dalla morte di Filippo de Pisis (1896-1956). Ferrara, la città in cui è nato, ricorda questo suo figlio illustre con una mostra allestita a Palazzo dei Diamanti, a cura di Maria Luisa Pacelli e organizzata in collaborazione da Ferrara Arte e dalle Gallerie d’Arte Moderna e Contemporanea.
È una mostra diversa dalle precedenti poiché, ad eccezione de I grandi fiori di casa Massimo (1931), recentemente acquisito dalla Fondazione Cassa di Risparmio di Ferrara e in deposito presso il Museo d’Arte Moderna e Contemporanea “Filippo de Pisis”, le opere esposte sono delle Gallerie d’Arte Moderna e Contemporanea. Ciò non deve far pensare ad un’esposizione che non testimoni ogni aspetto dell’arte di De Pisis. A partire dal 1908, l’anno delle prime opere note, fino al 1953, quando dipinse i suoi ultimi capolavori, ogni fase del suo percorso è infatti documentata. La giovinezza, innanzitutto, quando però, più che le arti figurative, ad assorbire la maggior parte delle sue energie erano gli interessi letterari. Poi il periodo romano, dal 1920 al ’25, durante il quale avviò a definizione il proprio linguaggio figurativo (Natura morta col martin pescatore, 1925). Quindi il trasferimento a Parigi, nella primavera del 1925, dove all’inizio compì una personalissima rivisitazione della pittura metafisica – conosciuta negli anni ferraresi quando iniziò la sua amicizia con De Chirico – che si riflette in quell’incantesimo onirico e intellettuale che sono Le cipolle di Socrate (1927); poi diede vita ad un nuovo genere di veduta, La Coupole> (1928), e di natura morta, I pesci marci (1928).
Fu nel corso degli anni Trenta, tuttavia, che De Pisis raggiunse la piena maturità e avviò uno dei più alti itinerari della pittura del Novecento. Il suo pennello divenne una sorta di sismografo capace di registrare con inimitabile immediatezza ciò che accade nell’attimo dell’incontro tra la sensibilità dell’artista e l’emozione che gli procurano le cose. Fiori (Il gladiolo fulminato, 1930), nature morte (La lepre, 1932), paesaggi (Strada di Parigi, 1938), ritratti (Ritratto di Allegro, 1940) e ogni altro soggetto sono dipinti con pennellate lievi, vibranti, luminose, fragili in apparenza, ma dure in realtà come il filo di ferro.
Negli anni Quaranta, dopo il rientro in Italia avvenuto nel 1939, la tensione degli anni precedenti in parte si placa e torna a crescere nella sua pittura il peso della sua cultura poetica e letteraria. Così si spiega quell’autentica «gemma» che è la splendida Falena (1945).
Vengono, infine, gli anni di Villa Fiorita, anni di sofferenze che si riflettono nei capolavori di quel tempo (La rosa nella bottiglia, 1950), ma che non gli impediscono di prosciugare la sua proverbiale «stenografia pittorica» e costruire un’inedita sintassi figurativa ridotta all’essenziale, una sorta di alfabeto Morse drammaticamente pausato nel quale i silenzi contano quanto le parole, i rari segni impressi dal pennello sulla tela.
Se Ferrara possiede una raccolta di De Pisis che documenta l’intero percorso creativo dell’artista lo deve a tre benefattori: uno sconosciuto al grande pubblico, il ferrarese Giuseppe Pianori, e due notissimi, Manlio e Franca Malabotta. Questa mostra è anche un segno di profonda gratitudine verso di loro che, con rara generosità, hanno arricchito la città di questo straordinario patrimonio artistico.
Mostra a cura di
Maria Luisa Pacelli
Organizzata da
Ferrara Arte e Gallerie d’Arte Moderna e Contemporanea di Ferrara
Enti promotori
Comune di Ferrara
Provincia di Ferrara
Con il patrocinio di
Fondazione Cassa di Risparmio di Ferrara e Cassa di Risparmio di Ferrara
Numero visitatori: 26.086